Raffaello: un genio tormentato dai virus







Può un uomo essere “stroncato” da un virus due volte? Teoricamente no, ma se ti chiami Raffaello Sanzio, forse sì. Il genio di Urbino è morto prematuramente il 6 aprile 1520, a causa di un’infezione polmonare aggravata: probabilmente un virus. Ironia della sorte, l’Urbinate è il protagonista di una grande mostra, in onore del cinquecentesimo anniversario della sua scomparsa, che rischia di non poter aprire i battenti, a causa di un altro virus: il Covid19. 


Infatti dal 5 marzo al 2 giugno 2020, alle scuderie del Quirinale a Roma, è esposta la più ricca collezione dell’arte di Raffaello, che vanta al suo interno le più straordinarie tra le sue opere. Sono stati radunati più di 100 capolavori dell’artista: tra dipinti, lettere, disegni e progetti, arrivati dalle più importanti collezioni europee.


A causa delle misure restringenti emanate dal Consiglio dei Ministri, necessarie a combattere il contagio del Coronavirus, sono vietati gli assembramenti di più persone nello stesso luogo. Così facendo, risulta impossibile l’accesso a mostre e gallerie d’arte, perciò le bellezze di Raffaello restano al buio. 


Nato il 6 aprile 1483 ad Urbino, dimostra subito le sue doti artistiche e in seguito si sposta a Perugia dove diventa allievo del Perugino. Dopo essere stato, per un periodo, a “scuola” dai grandi maestri a Firenze, si traferisce a Roma da Papa Giulio II. Qui la svolta: oltre ad allietare la corte papale con la pittura, comincia a cimentarsi con l’architettura, che tanto lo affascina. Raffaello è apprezzato da papi e da mecenati, che lo sommergono di commissioni, ma anche dalla plebe che ne intuisce il genio. Ama allo stesso tempo: le donne, di cui riesce a cogliere la sfumatura migliore, donando alla posterità dipinti come La Fornarina o La Velata, e l’arte classica greca e romana, tant’è che vuole essere seppellito nel Pantheon, luogo che lo ispira particolarmente. 


Scomparso a soli 37 anni e nel pieno del suo progetto creativo, Raffaello, oltre ad essere stimato dai suoi contemporanei, è soggetto di un percorso di divinizzazione, che porta molti a vederlo come qualcosa in più di un semplice artista. La leggenda dell’aura divina che avvolge l’Urbinate, così come la grazia e la raffinatezza della sua arte, gli fanno guadagnare il soprannome di “divin pittore”. La morte, che lo rapisce di Venerdì santo, non fa che alimentarne il mito.


Solo se il “killer silenzioso” verrà in parte sconfitto o per lo meno ne sarà fortemente  rallentato il contagio, sarà possibile vedere per qualche giorno i capolavori di Raffaello. Infatti, un possibile alleggerimento delle misure restrittive dopo il 4 maggio 2020, potrebbe portare gli interessati a dirigersi alle Scuderie del Quirinale, per lasciarsi travolgere dalla bellezza della sua arte.  


Sperando che il virus termini la sua corsa, è doveroso concludere riportando l’epitaffio inciso sulla tomba dell’artista, scritto probabilmente dall’umanista Pietro Bembo. Quest’ultimo esalta il talento di Raffaello, riprendendo quella natura che lo sta colpendo, per la seconda volta: “Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’esser vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.




Foto: Autoritratto di Raffaello, Galleria degli Uffizi, Firenze. 

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