Kobe Bryant: nove mesi dopo lo schianto aereo!




Uno schianto aereo. Finisce tutto lì, in un momento. I progetti, le ambizioni, i ricordi. Finisce tutto lì, in un baleno.


Nove mesi dopo l’incidente aereo a Calabasas, a nord ovest di Los Angeles, che porta alla morte di Kobe Bryant, ancora ripenso a quel momento, troppo assurdo per essere vero. È morto Kobe, il motivo delle mie tante, lunghe, insonni notti di basket davanti all Tv: quelle in cui la mamma di dice di andare a dormire che domani c’è scuola, ma lui è troppo bello da veder giocare, troppo sportivamente elegante per andarsene a dormire. Sono passati nove mesi e ancora non mi capacito di come Kobe non ci sia più. È stato, per noi appassionati della pallacanestro, un modello, un faro, un esempio da seguire per la voglia di vincere che trametteva. Padrone incontrastato del rettangolo di gioco, portava, con la sua straordinaria leadership, gli altri a migliorarsi. Per l’aria altezzosa e la prepotenza che mostrava in campo, odiato da molti, per noi che non aspettavamo altro che la notte per guardarlo giocare, uno dei più grandi cantori dell’arte della pallacanestro.   


Kobe Bryant introduceva un modo nuovo di approcciarsi allo sport grazie alla sua mentalità: quella dedizione ferrea e ossessiva che lo portava a vincere ed imporsi ogni volta che calcava il parquet. Lui la chiamava Mamba mentality, perché si era dato il soprannome di Black Mamba, un serpente che può mordere in qualsiasi momento e se lo fa è letale, prendendo spunto dal capolavoro tarantiniano Kill Bill - Volume 2. Credo che soprannome più azzeccato non ci sia per uno come lui. 


Non entro nell’ambito tecnico, perché credo che 5 titoli Nba bastino per descrivere un’atleta che passa una volta ogni 100 anni, mi limito a dire che uno come lui poteva passeggiare per 30 minuti, accendersi nel finale e cambiare la storia di una partita da solo.

Zorro conto il sergente Garcia e i suoi soldati.


Con lui, su quell’aereo, muoiono altre otto persone tra cui la figlia Gigi, promessa del basket femminile e attraversata dallo stesso amore per la palla a spicchi come papà Kobe. Ho ancora in testa le parole della moglie Vanessa al funerale pubblico svoltosi allo Staples center. In lacrime, dopo aver raccontato che Kobe e Gigi non potevano vivere l’uno senza l’altra, termina esclamando: «Kobe, prenditi cura della tua Gigi, io penserò alle nostre altre figlie. Tutti insieme siamo ancora il team migliore».


Il Mamba si è contraddistinto nella sua carriera sportiva per la lucidità che riusciva a tenere in ogni momento, prendendo sempre la decisione giusta anche quando lo stress era altissimo. In questi 9 mesi, tutte le volte che penso allo schianto aereo, penso a quei secondi che lo precedono. Quei cinque, sei secondi in cui Kobe capisce che sta per finire tutto e accanto a lui c’è sua figlia. Chissà in quei secondi lì, che quanto durano non possiamo immaginarlo, cosa è passato nella sua mente.

Ciao Kobe, che la terra ti sia lieve.


Commenti